Bologna Cefalea 2013

Bologna, 1 Febbraio 2013 


A cura del dr. Marco Russo

La sesta edizione di “Bologna Cefalea”, consueto appuntamento del primo venerdì di febbraio dedicato all’aggiornamento sulle cefalee, si è aperta con la sessione “Fisiopatologia e Clinica”, moderata dal Prof. Cortelli e dal Prof. Manzoni.
Nella prima relazione la Prof.ssa Pietrobon (Padova) ha presentato alcune novità nel campo della fisiopatologia dell’emicrania.
È ormai noto che il dolore emicranico dipende dalla sensibilizzazione e dall’attivazione della via trigemino-vascolare. La presenza di sintomi premonitori e di fattori scatenanti (“triggers”) e l’alterazione del processo di analisi dell’informazione sensoriale nel periodo che intercorre tra un attacco e il successivo dimostrano che l’emicrania è prima di tutto un disordine che nasce nel cervello: la vecchia teoria patogenetica vascolare può considerarsi superata.
La natura ed il meccanismo della disfunzione cerebrale che porta all’episodica attivazione della via trigemino-vascolare, la suscettibilità alla CSD (Cortical Spreading Depression, un’onda di depolarizzazione corticale che si propaga alla velocità di 2-6 mm/min determinando una depressione dell’attività neuronale che può durare diversi minuti), i meccanismi sottostanti la disfunzione nella processazione sensoriale tra un attacco e l’altro e la sua periodicità, la relazione tra questi meccanismi e l’influenza dei “triggers” restano però questioni aperte.
Il soggetto emicranico probabilmente non è in grado di mantenere un perfetto equilibrio tra ipoeccitabilità e ipereccitabilità corticale e questo porta periodicamente al prevalere dell’ipereccitabilità. Studi sugli animali dimostrano che la CSD è in grado di attivare la nocicezione trigeminale ed i meccanismi della cefalea.
Molte informazioni utili a comprendere i meccanismi dell’emicrania comune possono venire dallo studio dell’Emicrania Emiplegica Familiare (FHM, Familial Hemiplegic Migraine), un sottotipo di emicrania con aura a trasmissione monogenica autosomica dominante in cui l’aura, che può avere una durata prolungata, comporta anche un deficit motorio completamente reversibile. In alcune famiglie si verificano peraltro attacchi atipici che comportano anche confusione mentale, coma ed edema cerebrale e segni permanenti come nistagmo, atassia cerebellare e ritardo mentale.
Al momento sono state identificati tre sottotipi genetici di FHM: la FHM 1, in cui sono presenti mutazioni nel gene CACNA1A che codifica per i canali del calcio voltaggio dipendenti Cav2.1 presinaptici che hanno un ruolo determinante nel controllo del rilascio di neurotrasmettitore alle sinapsi eccitatorie ed inibitorie; la FHM 2 in cui sono presenti mutazioni nel gene ATP1A2 che codifica per una pompa sodio potassio, la α2 NaK ATPasi astrocitaria; la FHM 3 in cui le mutazioni sono sul gene SCNA1A che codifica per un canale del sodio che si trova sugli interneuroni inbitori (Nav1.1). Mentre nella FHM 1 le mutazioni determinano un guadagno di funzione, nella FHM 2 probabilmente c’è una perdita di funzione della pompa.
Le mutazioni FHM 1, in modelli murini, facilitano l’induzione e la propagazione della CSD. In laboratorio sono stati creati due modelli di FHM 1, il topo S218L knock-in ed il topo R192Q knock-in. Il primo sviluppa una forma più grave di malattia caratterizzata da crisi epilettiche, coma, edema cerebrale in risposta a minimo trauma cranico e segni cerebellari permanenti. Il motivo della diversa severità del quadro clinico va ricercato nel fatto che la facilitazione per la CSD nei topi S218L KI è maggiore che nei topi R192Q KI. I topi S218L hanno una propensione unica a multipli eventi di CSD in risposta ad un singolo stimolo, con diffusione anche ad aree sottocorticali.
La mutazione R192Q FHM 1 aumenta i potenziali d’azione evocati dall’influsso di calcio attraverso i canali Cav2.1 e aumenta il rilascio di glutamato dalle cellule piramidali aumentando così la trasmissione eccitatoria sinaptica a livello delle sinapsi tra cellule piramidali ed interneuroni fast-spiking (FS). Tale mutazione non modifica invece la trasmissione inibitoria. Questi meccanismi corticali facilitano la CSD nella FHM 1.
Alcune ipotesi, ancora da dimostrare, sono state fatte anche sulla FHM 2. L’alterazione della pompa sodio-potassio in questa forma potrebbe determinare un alterato reuptake di potassio dalla sinapsi e la perdita di funzione del trasportatore del glutamato che si trova in prossimità della pompa sulla membrana degli astrociti. Ciò determinerebbe un aumento del glutamato nelle sinapsi.
In conclusione, nella corteccia dei soggetti FHM 1 e, probabilmente, anche se non è ancora stato dimostrato, nella corteccia dei soggetti FHM 2 ed emicranici, l’aumento del glutamato nello spazio sinaptico e dell’eccitazione ricorrente determina un’alterazione del meccanismo di processazione dello stimolo sensoriale in grado di spostare l’equilibrio tra eccitazione e inibizione a favore della prima. Tale sbilanciamento, determinato anche dall’interazione con strutture sottocorticali, porta alla CSD che è responsabile dell’aura ma anche dell’attivazione della via trigemino-vascolare con sviluppo di dolore emicranico.
Gli studi sperimentali sui modelli animali di emicrania emiplegica familiare possono rappresentare la chiave della comprensione della patogenesi dell’emicrania nell’uomo. La futura ricerca dovrà quindi muoversi anche in questa direzione.

Nella relazione successiva il prof. Valade (Parigi) ha parlato dei molteplici legami tra cefalee e patologie psichiatriche. I disturbi psichiatrici rientrano per prima cosa tra le comorbilità dell’emicrania: il 30% circa dei soggetti emicranici soffre di ansia e depressione. Nello specifico, la relazione tra emicrania e depressione sembra essere bidirezionale: gli episodi di depressione maggiore sono 2-4 volte più frequenti negli emicranici che nei soggetti non emicranici; analogamente, i soggetti con depressione sviluppano 2-3 volte più frequentemente emicrania rispetto ai non depressi. Anche i disturbi d’ansia ed il disturbo post-traumatico da stress sono più frequenti negli emicranici ed il disturbo bipolare sembra aumentare di 2-3 volte il rischio di sviluppare l’emicrania.
La cefalea di tipo tensivo episodica pare invece non correlare con i Disturbi d’Ansia e dell’Umore.
Nel complesso le cefalee croniche, l’emicrania cronica più che la cefalea di tipo tensivo cronica, sono associate maggiormente a disturbi psichiatrici rispetto alle forme episodiche.
La cefalea, l’ansia e la depressione potrebbero sottendere un comune fattore di rischio, un comune fattore eziologico o un comune substrato biologico: sono state fatte diverse ipotesi sul trasportatore della serotonina, sui recettori DRD 2, sull’eccitabilità corticale e sull’alterazione dei canali del calcio e del sodio. Quel che è certo al momento è che la comorbilità psichiatrica predice un peggiore andamento dell’emicrania a lungo termine.
Oltre che correlate in termini di comorbilità, le cefalee possono essere secondarie ai disturbi psichiatrici.
Nella classificazione del 1962, si parlava di cefalee psicogeniche e queste venivano distinte in due gruppi: cefalea reattiva alla contrazione muscolare e cefalea da somatizzazione o isteria.
Nell’ultima edizione della Classificazione Internazionale del 2004, le cefalee secondarie a patologie psichiatriche rientrano nel gruppo 12 e sono soltanto due, quella secondaria a disturbo di somatizzazione e quella secondaria a disturbo psicotico.
In un lavoro retrospettivo di circa due anni fa (“Headaches Secondary to Psychiatric Disorders: a retrospective study of 87 patients”, pubblicato su Headache del 2011), il prof. Valade ha dimostrato come queste siano però diagnosi fatte raramente e come i disturbi psichiatrici più frequentemente responsabili di sviluppo di cefalea siano la depressione ed il disturbo d’ansia generalizzato, attualmente inseriti in appendice come possibile causa di cefalea. Le cefalee di questo gruppo non sono inoltre cefalee necessariamente atipiche, come si dice nei criteri, ma possono anche avere le caratteristiche di emicrania o cefalea di tipo tensivo.
Gli studi epidemiologici sulla prevalenza di queste forme di cefalea sono carenti e non esistono linee guida terapeutiche specifiche per queste forme, che richiedono comunque di sicuro un approccio multidisciplinare e un trattamento a lungo termine.
Resta ancora da chiarire se la sovrapposizione tra cefalee in comorbilità con le patologie psichiatriche e cefalee secondarie a patologie psichiatriche possa sottendere un rapporto di causa-effetto.

La seconda sessione, moderata dal prof. Bussone e dalla Prof.ssa Cevoli, “Clinica e terapia”, si è aperta con la relazione della Prof.ssa Torelli (Parma) sui fattori di trasformazione dell’emicrania.
L’emicrania senz’aura esordisce solitamente intorno ai 20 anni e nella maggior parte dei casi si risolve o si attenua intorno ai 50 anni. In un 20-30% dei casi però l’evoluzione può essere sfavorevole e la cefalea può subire un peggioramento o una trasformazione.
Per prima cosa dovremmo distinguere i termini “emicrania cronica” ed “emicrania trasformata”. Secondo l’ultima Classificazione Internazionale delle Cefalee del 2004, l’emicrania cronica (codice IHS 1.5.1) è una forma di emicrania senz’aura che si manifesta per almeno 15 giorni al mese da più di 3 mesi in assenza di overuse di sintomatici. Tali criteri indicano però una forma di emicrania senz’aura ad alta frequenza che ha poco a che fare con l’emicrania trasformata. L’assenza di overuse di sintomatici è inoltre poco realistica. Nella seconda revisione della Classificazione (2006) i criteri dell’emicrania cronica sono stati modificati: si definisce emicrania cronica una cefalea con caratteristiche emicraniche o tensive che si verifica per almeno 15 giorni al mese da almeno 3 mesi e in cui almeno 8 attacchi di cefalea hanno caratteristiche emicraniche o sono stati trattati efficacemente con triptano o ergotaminico, sempre in assenza di overuse di farmaci sintomatici.
L’emicrania trasformata è un’entità diversa, perché rappresenta l’evoluzione peggiorativa di un’emicrania senz’aura con la riduzione progressiva degli intervalli liberi da cefalea. Negli ultimi anni il prof. Manzoni ha quindi proposto di separare l’emicrania senz’aura, divisa in tre sottogruppi in base alla frequenza (non frequente, frequente e molto frequente o cronica), dall’emicrania trasformata, intesa come una forma di cefalea che ha caratteristiche tensive o emicraniche e si manifesta per più di 20 giorni al mese da almeno un anno con non più di 5 giorni consecutivi senza dolore.
Già nel 1995, in uno studio retrospettivo su 105 pazienti dei Centri Cefalee di Parma e Pavia, Manzoni e Nappi avevano individuato quattro possibili evoluzioni dell’emicrania verso la cefalea cronica quotidiana: emicrania e cefalea di tipo tensivo cronica (56%); emicrania e cefalea intervallare diversa dalla tensiva (21%); emicrania cronica (13%); cefalea di tipo tensivo cronica (10%).
Tra i fattori di trasformazione dell’emicrania senz’aura in cefalea cronica quotidiana i gruppi di Parma e Pavia, in uno studio su 250 pazienti, avevano individuato l’abuso di sintomatici (72.9%), l’ipertensione arteriosa (10.2%), i traumi psichici (9.3%), la menopausa chirurgica (8.9%), il parto (5.5%) e la menopausa precoce (2.2%). Facendo una sintesi degli studi osservazionali e trasversali effettuati negli anni, possiamo individuare i seguenti fattori di rischio per cronicizzazione: sesso femminile, età giovanile, divorzio, basso livello educazionale, alto reddito, russamento abituale, ipertensione arteriosa, allergie, asma, ipotiroidismo, depressione, obesità, fattori stressanti, overuse di sintomatici.
Quanto ai fattori genetici, sembra che il polimorfismo del trasportatore del glutammato influenzi più l’overuse di farmaci che direttamente la trasformazione.
La relazione tra emicrania episodica, overuse di sintomatici ed emicrania trasformata resta poco chiara: si potrebbe ipotizzare che l’emicrania provochi un overuse che a sua volta porta alla trasformazione, oppure l’emicrania trasformata a causa di altri fattori potrebbe indurre overuse, oppure ancora gli emicranici, in presenza di un particolare profilo di personalità e di uno specifico assetto genetico, potrebbero diventare abusatori e sviluppare quindi un’emicrania trasformata; infine l’emicrania potrebbe trasformarsi a causa di fattori diversi dall’overuse che potrebbe comparire parallelalamente in presenza di un certo profilo personologico o di fattori genetici specifici.
Nell’ultima parte della relazione, sono stati presentati i risultati preliminari di uno studio condotto al Centro Cefalee di Parma per identificare i possibili fattori favorenti l’evoluzione dell’emicrania senz’aura in emicrania cronica. A questo scopo sono state recuperate tutte le cartelle cliniche dei pazienti che rispettavano i seguenti criteri: a) prima visita tra il 1976 ed il 1998, b) diagnosi di emicrania senz’aura o emicrania comune alla prima osservazione, associata o meno con altre forme di cefalea primaria, c) < 15 giorni al mese di emicrania alla prima osservazione e d) una o più visite di follow-up almeno 10 anni dopo la prima. I pazienti sono stati poi divisi in due gruppi, A (243 pazienti, 195 femmine e 48 maschi) e B (72 pazienti, 62 femmine e 10 maschi), a seconda dell’evoluzione del loro mal di testa rispettivamente in senso favorevole (migliorati o stazionari) o sfavorevole (peggiorati). Dal confronto tra le caratteristiche cliniche dei due gruppi di pazienti è emerso che i fattori prognostici sfavorevoli potrebbero essere: la presenza di 10 o più attacchi di emicrania alla prima osservazione, la presenza di depressione alla prima visita nei maschi ed infine l’insorgenza di depressione ed ipertensione arteriosa dopo la prima visita ma prima della cronicizzazione nelle femmine.

Nella relazione successiva il Dott. Marco Aguggia (Asti) ha parlato del ruolo della sensibilizzazione centrale e periferica nella cronicizzazione dell’emicrania. Nel corso degli anni, le teorie relative alla fisiopatologia dell’emicrania si sono evolute da un’ipotesi puramente vascolare ad un’interpretazione più complessa in cui gioca un ruolo fondamentale la disfunzione centrale. Gli stimoli dolorifici che si verificano durante gli attacchi di emicrania portano ad una sensibilizzazione periferica (neuroni di primo ordine che innervano le meningi) che a sua volta determina la sensibilizzazione di neuroni di II ordine del nucleo caudale del trigemino e delle corna dorsali del midollo spinale, ma probabilmente anche di neuroni di terzo ordine del talamo posteriore. La sensibilizzazione centrale ha come conseguenze la riduzione della soglia dolorifica, l’aumentata responsività e l’aumento delle zone algiche ed il suo corrispettivo clinico sembra essere l’allodinia, cioè la percezione del dolore in risposta a stimoli non noncicettivi. La sensibilizzazione centrale è probabilmente regolata a livello del tronco encefalico, anche se il ruolo modulatorio del grigio periacqueduttale è stato molto ridimensionato.
Poiché i triptani sono in grado di inibire la sensibilizzazione periferica ma non quella centrale, la strategia di trattamento migliore dell’attacco emicranico sembra essere quella di assumere il farmaco prima che si sia instaurata l’allodinia. L’allodinia è una caratteristica frequente ed importante nella popolazione emicranica e può influenzare la severità degli attacchi e la loro tendenza a diventare cronica.

Nell’ultima relazione del mattino, il Dott. Piero Barbanti (Roma) ha parlato di scelta della terapia preventiva nell’emicrania. Dividendo i farmaci di profilassi in categorie secondo livelli decrescenti di evidenza di efficacia, rientrano nel gruppo A soltanto il propranololo, il topiramato ed il valproato; nel gruppo B troviamo invece i calcio-antagonisti, la metisergide ed il pizotifene, la tossina botulinica, la vitamina B2, lo zolmitiptan ed il frovatriptan tra i triptani, l’amitriptilina e la venlafaxina tra gli antidepressivi e i beta-bloccanti diversi dal propranololo; nel gruppo C rientrano lisinopril , candesartan, CoQ10, magnesio e acido acetilsalicilico; infine nel gruppo D ritroviamo l’acetazolamide.
Alcuni articoli relativi al trattamento dell’emicrania durante la gravidanza e l’allattamento hanno evidenziato come il propranololo non incrementi il rischio di difetti fetali a differenza di altre classi di antipertensivi come ACE-inibitori e sartani, che sono risultati fetotossici.
Un ruolo nella risposta alla terapia preventiva sembrano avere i fattori genetici, in particolare l’aplotipo H: quest’ultimo è più attivo metabolicamente, è più frequente in Europa e si associa ad una più bassa percentuale di responders (44.8%) rispetto all’aplotipo non H (77%). La tolleranza alla terapia di profilassi si verifica nell’1-8% dei pazienti e può essere su base farmacocinetica, farmacodinamica, comportamentale o crociata. Si è visto per esempio che chi è stato per molto tempo in terapia con benzodiazepine risponde meno al valproato. Anche l’amitriptilina, agendo sul sistema oppioide può indurre tolleranza.
Oltre a presentare alcuni farmaci nuovi per cui è stato proposto un ruolo nella profilassi dell’emicrania come i modulatori dell’eccitabilità corticale e della CSD, del sistema circadiano retino-ipotalamico (es. ramelton), del sistema vascolare (clopidogrel), della funzione cellulare e metabolica o della sensibilizzazione periferica (tossina botulinica), il Dott. Barbanti ha voluto ricordare l’utilità che potrebbe avere individuare dei fenotipi di emicrania che possano guidare la scelta della terapia preventiva, proprio come si fa nella malattia di Parkinson (per esempio le forme tremorigene rispondono più al pramipexolo). Si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un’emicrania adrenergica, di un’emicrania dopaminergica e di un’emicrania con sintomi vegetativi unilaterali (che sembra rispondere meglio a sumatriptan e rizatriptan come terapia sintomatica) e scegliere il farmaco preventivo migliore per ciascun sottotipo di malattia. Analogamente è stata ipotizzata l’esistenza di una forma di emicrania “esplosiva” in contrapposizione ad una forma “ implosiva” che sembrerebbe rispondere meglio alla terapia con tossina botulinica.

La terza sessione, moderata da Ferrarini (Reggio Emilia) e Rasi (Ravenna), si è aperta con la relazione tenuta dal Dott. Colombo (Milano) sulla relazione tra cefalea e sclerosi multipla. Il dolore nella sclerosi multipla è solo da poco tempo valorizzato come specifico sintomo patologico frequente e disabilitante. Le difficoltà nella sua valutazione derivano dalle diverse definizioni adottate, dagli strumenti di raccolta dei dati, dalla mancanza di gruppi di controllo o dall’esclusione della cefalea dai vari tipi di dolore analizzati.
In che cosa si assomigliano emicrania e sclerosi multipla? Entrambe le patologie sono più frequenti nelle femmine, insorgono in età giovanile e colpiscono prevalentemente la razza caucasica.
Quale è la possibile correlazione tra queste due patologie? La demielinizzazione corticale, di cui si parla molto negli ultimi tempi, potrebbe accelerare l’innesco della CSD e l’alterata soglia del dolore dei pazienti con SM potrebbe predisporre all’insorgenza dell’emicrania. L’emicrania e la cefalea potrebbero avere quindi una causa centrale nella SM. L’emicrania con aura d’altra parte sembra aumentare la permeabilità di barriera permettendo l’esposizione della mielina alle cellule T (meccanismo MMP9 dipendente) e, analogamente, l’emicrania senz’aura sembra alterare il profilo delle citochine predisponendo all’infiammazione del sistema nervoso centrale.
Sicuramente restano molti punti da chiarire. Non è chiaro per esempio se la relazione tra SM e cefalea sia specifica per l’emicrania e se quest’ultima sia in grado di modificare il decorso dell’SM. Non è chiaro neppure se si debba modificare il trattamento dell’SM nei pazienti che soffrono anche di emicrania.
Per quanto riguarda l’epidemiologia dei due principali sottotipi di cefalea primaria in relazione alla SM, mentre l’emicrania esordisce dopo il primo sintomo di SM nel 22% dei casi, la cefalea di tipo tensivo sembra esordire dopo il primo sintomo nel 37% dei soggetti. In uno studio del 2010, Kister ha trovato una frequenza relativa dell’emicrania in pazienti affetti da SM 3 volte superiore rispetto alla popolazione di controllo. L’emicrania è risultata associata inoltre alla nevralgia del trigemino, all’algia facciale, al segno di Lhermitte, al dolore all’articolazione temporo-madibolare e alla pregressa depressione, ma non ad una maggiore disabilità. In una recentissima metanalisi Foley ha analizzato 17 studi sul dolore nella SM e 10 sulla cefalea nella SM. La prevalenza complessiva del dolore è risultata intorno al 62.8%, quella complessiva della cefalea intorno al 42.5%, mancano però la prevalenza pre-diagnosi, la prevalenza all’esordio, alla ricaduta e alla progressione.
Sempre Kister ha riportato recentemente che le pazienti emicraniche hanno un rischio più alto di sviluppare SM rispetto alle non emicraniche (valore assoluto del rischio 0.47%).
Un ruolo importante sembra svolgere nella relazione tra emicrania e SM il grigio periacqueduttale (PAG): le pazienti affette da SM con placche in corrispondenza di questa struttura modulatoria del tronco encefalico hanno un rischio quadruplicato di sviluppare emicrania; inoltre il nucleo rosso e la substantia nigra, che proiettano al PAG, sono più colpite da placche nelle pazienti con SM.
Un altro aspetto interessante della relazione tra emicrania e SM è rappresentato dalle cosiddette Radiological Isolated Syndrome (RIS), riscontri occasionali di aree compatibili con SM in pazienti senza sintomi. È curioso il fatto che il 50% dei pazienti con RIS ha eseguito una RM per cefalea. I fattori predittivi di progressione radiologica e clinica delle RIS sono: la presenza di 9 o più lesioni in T2 o captanti mdc, di lesioni cervicali o infratentoriali, l’elevato numero di lesioni, l’alterazione dei PEV, la giovane età e la presenza di bande nel liquor. Non è chiaro quale sia l’atteggiamento migliore da perseguire in questa particolare situazione (attendere? Seguire nel tempo? Trattare?). Sicuramente esiste un rischio elevato di sovrastima di queste sindromi: per esempio le lesioni iuxtacorticali e periventricolari devono essere aggettanti per avere valore diagnostico.
Per quanto riguardo la possibile relazione tra SM e cefalea di tipo tensivo, si è visto che: la prevalenza della cefalea ad un anno è simile nei pazienti e nei controlli. In 2 casi su 3, la cefalea tensiva precede la SM; la cefalea tensiva non correla con EDSS e durata della SM, così come non differiscono le lesioni in numero e distribuzione tra pazienti con SM e pazienti affetti da entrambe le patologie.
Un ultimo aspetto affrontato dl Dott. Colombo è stato quello della relazione tra emicrania e farmaci utilizzati nella SM. Il 30-50% dei pazienti con cefalea pre-esistente segnala un peggioramento dopo l’inizio dell’IFN β. Il 40-70% dei soggetti inizia a soffrire di emicrania dopo aver iniziato il trattamento con IFN β 1a. Solo il 6% dei soggetti in terapia con copolimero sviluppa invece emicrania. L’IFN β, alterando le citochine infiammatorie e attivando l’NFKB, esercita probabilmente un effetto promotore. Quanto al rapporto tra natalizumab e cefalea, si è visto che il 30% dei soggetti con cefalea pre-esistente peggiora con la somministrazione del farmaco e le prime quattro infusioni, soprattutto nelle prime ore, sono le più critiche. Quanto infine al trattamento della cefalea in corso di SM si è visto che solo 1/3 dei pazienti con SM chiede una terapia per la cefalea e solo il 10% fa una terapia di profilassi: questo dimostra in sostanza come l’emicrania in corso di SM non sia spesso riconosciuta né trattata.

La seconda relazione del pomeriggio è stata tenuta dal dott. Querzani (Ravenna), che ha parlato di cefalee nella pratica quotidiana ospedaliera. Il neurologo ospedaliero può essere chiamato in causa per un problema di cefalea in diverse situazioni: la cefalea può essere il sintomo principale che ha condotto il paziente in ospedale, ma può anche far parte di una sindrome clinica più complessa o essere la conseguenza di determinate procedure diagnostico-terapeutiche oppure ancora essere una cefalea usuale in un paziente che è in ospedale per motivi diversi dal mal di testa.
La cefalea può essere la causa dell’accesso in ospedale in situazioni drammatiche come l’emorragia subaracnoidea (scenario 1 del protocollo DIACEF, uno strumento di diagnosi per le cefalee non traumatiche dell’adulto in Pronto Soccorso elaborato in modo congiunto qualche anno fa dai maggiori esperti dell’argomento che lavorano nella regione Emilia Romagna) o la dissecazione.
Ma la cefalea può anche far parte di una sindrome clinica più complessa. Una cefalea associata a senso di confusione, malessere, fatica, soprattutto in inverno deve far pensare ad un’intossicazione da CO. Una cefalea associata ad ipertensione intracranica isolata o ad una sindrome focale deve far pensare ad una trombosi dei seni venosi cerebrali soprattutto in donne giovani con fattori di rischio vascolare (gravidanza, puerperio, fumo, contraccettivi orali). La cefalea è l’esordio tipico in particolare della trombosi del seno trasverso. Una cefalea associata a crisi epilettiche, encefalopatia e disturbi visivi soprattutto in pazienti ipertesi o con patologie nefrologiche (insufficienza renale cronica) deve far sospettare una Leucoencefalopatia Posteriore Reversibile (PRES syndrome).
Ci sono poi tutte le forme di cefalea secondarie a procedure diagnostico-terapeutiche: la cefalea post-TEA, la cefalea secondaria ad angioplastica o la cefalea post-puntoria per citare le più frequenti.
Infine la cefalea può insorgere con le caratteristiche usuali in un paziente che si trova in ospedale per un motivo differente dal mal di testa.
In conclusione la cefalea in ospedale può essere il sintomo di esordio di patologie gravi sottostanti, va sempre inserita nel contesto clinico, può essere aspecifica ed avere caratteristiche variabili nello stesso contesto. E’ indispensabile pertanto la collaborazione con i neuroradiologi. Il Dott. Querzani ha concluso la sua relazione con la proposta di ampliamento dello scenario 1 del protocollo DIACEF che lui stesso aveva contribuito a creare qualche anno fa.

Nell’ultima relazione del congresso, dal titolo “Aura, TIA e stroke emicranico”, tenuta dal Dott. Tommaso Sacquegna (Bologna), è stata ripresa la complessa relazione emicrania-stroke. L’emicrania con aura aumenta di 2 volte il rischio di ictus e se a questa si associano altri fattori di rischio vascolare come la pillola estro-progestinica o il fumo, tale rischio aumenta di 4 volte in termini relativi (il valore assoluto del rischio resta comunque basso). Negli emicranici con aura sono state riscontrate infatti delle disfunzioni endoteliali che potrebbero spiegare la maggiore predisposizione a sviluppare eventi cerebro-vascolari. L’emicrania con aura può essere inoltre il sintomo di esordio della CADASIL (arteriopatia autosomica dominante con infarti sottocorticali e leucoencefalopatia): gli attacchi possono precedere di anni l’espressione conclamata della malattia.
L’emicrania in entrambe le sue forme, con e senza aura, aumenta inoltre il rischio di dissecazione dei vasi cerebro-afferenti.
L’infarto emicranico (IHS 1.5.4, codificato tra le complicanze dell’emicrania) è invece una condizione clinica molto rara: consiste in un attacco di emicrania con aura che dura più di un’ora e produce una lesione radiologicamente visibile in un’area congrua.
Gli attacchi di emicrania con aura sono talvolta associati a sottostanti disordini cerebrovascolari acquisiti o ereditari. E’ difficile identificare una spiegazione fisiopatologica unificante capace di legare l’emicrania a queste condizioni. Secondo l’ipotesi vascolare della CSD proposta qualche anno fa da Moskowitz, cambiamenti nei vasi, disordini di perfusione e fenomeni di microembolizzazione potrebbero causare una disfunzione neuro-vascolare ed evocare così la CSD, un evento da molti considerato alla base dell’aura emicranica. La suscettibilità alla CSD è conferita dai geni e modulata da ormoni (ovarici e testicolari) e farmaci in grado di sopprimere la CSD e prevenire gli attacchi. In presenza di determinati triggers vascolari, si produce una transitoria, lieve ipoperfusione che dà inizio alla CSD.
Una microembolizzazione può causare però anche oligoemia di grado più severo provocando un attacco ischemico transitorio o un ictus ischemico.
Quindi in un sottogruppo di pazienti di dimensioni indeterminate, l’aura emicranica fa parte di un continuum di disordini di ipoperfusione che includono anche i TIA e gli infarti cerebrali.
Infine è stato fatto un cenno all’uso delle metodiche di Spettroscopia di Risonanza Magnetica nello studio dell’emicrania e alle implicazioni che queste potranno avere nella delucidazione dei meccanismi patogenetici che ne stanno alla base.